Arriva il Bonus disoccupati under 36

Per il biennio 2021-2022 la legge prevede un incentivo per l’assunzione di giovani che non hanno mai avuto un lavoro stabile. Il bonus, ricorda laleggepertutti.it, può essere fruito da coloro che non hanno compiuto 36 anni e non sono mai stati assunti a tempo indeterminato, né dall’azienda che intende fruire dell’incentivo né da altri datori di lavoro. Fanno eccezione le assunzioni in qualità di apprendista, lavoratore domestico e con contratto di lavoro intermittente.

Non possono in ogni caso beneficiare dell’incentivo le PA e le aziende appartenenti al settore K (finanziario e assicurativo). Inoltre, il bonus non può essere cumulato con altri incentivi all’assunzione di tipo economico o con sgravi contributivi.

L’importo dell’incentivo

L’agevolazione non deve essere poi confusa con l’incentivo per l’assunzione di giovani disoccupati under 30, introdotto dalla legge di bilancio 2018, e previsto strutturalmente, non per il solo biennio 2021-2022 come il bonus assunzione under 36. Il bonus assunzione under 36 consente al datore di lavoro che assume di fruire di uno sgravio pari al 100% della contribuzione previdenziale dovuta (esclusi premi Inail e contribuzione non avente natura previdenziale).

È previsto però un tetto massimo annuo di fruizione pari a 6mila euro, da parametrare su base mensile. In caso di assunzione part time, lo sgravio massimo fruibile è ridotto proporzionalmente. La durata dello sgravio è pari a: 36 mesi, e 48 mesi per i datori che effettuano assunzioni in una sede o unità produttiva ubicata nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna.

Quando spetta a chi ha avuto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato?

Condizione fondamentale per la fruizione dell’agevolazione è che il dipendente non abbia mai avuto un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, esclusi i rapporti di apprendistato, lavoro domestico e i contratti intermittenti. Qualora il lavoratore sia già stato assunto a tempo indeterminato e il rapporto sia cessato, senza che il datore di lavoro abbia beneficiato interamente dello sgravio, il nuovo datore di lavoro può fruire del bonus residuo (portabilità).
Per verificare se l’interessato è già stato assunto a tempo indeterminato, l’Inps ha reso disponibile sul proprio portale web un’apposita utility che evidenzia i precedenti rapporti a tempo indeterminato non agevolati, nonché quelli agevolati per i quali è possibile fruire della portabilità.

Preclusioni e fruizione dell’incentivo

Il bonus assunzione under 36 non può essere applicato per le assunzioni o le prosecuzioni (conferma) con contratto di apprendistato, contratto di lavoro intermittente e contratto di lavoro domestico. L’Inps ha fornito le istruzioni per usufruire dell’esonero contributivo per le assunzioni di giovani a tempo indeterminato e per le trasformazioni di contratti a tempo determinato effettuate a decorrere dal 1° gennaio 2021. Ha inoltre chiarito come fruire del rimborso degli arretrati, in caso di assunzioni o trasformazioni precedenti a settembre 2021. In ogni caso, la Commissione Europea ha autorizzato il bonus assunzione under 36 per l’anno 2021, mentre l’autorizzazione per il 2022 non è stata ancora rilasciata.

Italiani e aste on line, un business da 102 milioni di euro

Le aste on line sono sempre più apprezzate in tutto il mondo, sia per chi vende – magari per guadagnare un extra in un periodo complicato come questo – sia per i venditori professionali che possono ampliare la propria platea di utenti. Comunque sia, resta il fatto che il 2021 è l’anno dei record per le aste sul web, come rivela il Catawiki report 2021, l’analisi realizzata dalla piattaforma di aste online. Tre sono infatti i primati raggiunti dalla piattaforma: sono stati spesi più di 500 milioni di euro e oltre un milione di persone ha fatto un’offerta per gli oltre 3,5 milioni di oggetti andati all’asta.

1.000 euro la spesa media per gli italiani

Il volume degli acquisti dei consumatori italiani nel 2021 ha superato i 100 milioni di euro, con una spesa media di circa 1.000 euro, facendo del nostro Paese il mercato principale di Catawiki, riferisce Adnkronos. Gli italiani che hanno fatto un’offerta sono stati oltre 230.000, 55% dei quali nuovi sulla piattaforma. Le categorie che hanno riscontrato un maggiore successo, sono state vino, oggetti decorativi, arte moderna e contemporanea, gioielli e orologi. Una testimonianza che gli italiani si sono voluti coccolare con oggetti d’arte o di design, vini di pregio e gioielli come antidoto emotivo al distanziamento dell’era del lockdown. Aumentano i visitatori della Generazione Z (+40% in Italia rispetto al 2020) – quelli tra i 18 e i 24 anni – che decidono di acquistare oggetti attraverso la piattaforma. Gli utenti tra i 25 e i 34 anni continuano a costituire la fascia d’età più rappresentativa, pari al 25% del totale degli offerenti. Sono inoltre in aumento costante i venditori professionali e gli amatori – oltre 200.000 nel 2021 a livello globale, di cui oltre la metà nuovi utenti della piattaforma – che, per generare entrate extra in un periodo complicato e per approcciare una clientela internazionale, hanno utilizzato Catawiki per vendere oggetti rari ed esclusivi.

I numeri del business in Italia

Sempre in base al report della piattaforma, si scopre che i venditori italiani nel 2021 hanno messo all’asta oltre 600 mila oggetti, per un valore complessivo di quasi 102 milioni di euro, che sono stati acquistati in gran parte da acquirenti italiani (34%) seguiti da francesi (oltre 14%) e olandesi (quasi 12%). La platea dei venditori tricolori è composta essenzialmente da ‘amatori’ che rappresentano la grande maggioranza del totale e riescono a guadagnare oltre 3.000 euro l’anno con oggetti da collezione o preziose rarità trovate in cantina o in soffitta. La rimanente minoranza, invece, è composto da professionisti che vendono circa un terzo degli oggetti totali (oltre 223 mila) e, grazie alla possibilità di approcciare in sicurezza un numero sempre più ampio di compratori internazionali, con un guadagno di circa 60.000 euro l’anno in media.

Gli italiani chiedono obblighi più rigidi per le emissioni delle auto

Sono in arrivo nuove regole per le emissioni delle auto, e gli italiani sono i più severi nei confronti delle case automobilistiche. Entro il mese di aprile 2022 la Commissione europea dovrà infatti proporre le nuove regole Euro7, che fisseranno i limiti legali delle emissioni da applicare alle circa 100 milioni di auto a benzina e diesel, che saranno vendute in Europa dopo il 2025 ed entro il decennio successivo. E secondo i cittadini europei le nuove regole devono essere stringenti il più possibile, tanto che due 2 su 3 sono disposti anche a pagare di più per ridurre al massimo l’inquinamento.
Lo rivela un sondaggio di YouGov, commissionato da Transport & Environment su oltre 8.000 cittadini di sette Paesi europei: Germania, Francia, Italia, Spagna, Polonia, Romania e Repubblica Ceca.

Il 71% degli italiani pagherebbe di più per un’auto meno inquinante

Tra gli europei, gli italiani sono tra i più decisi: 9 su 10 (89%) concordano nel chiedere che l’industria automobilistica sia obbligata per legge a ridurre le emissioni delle nuove auto fino a quanto sia tecnicamente fattibile. Non solo: più di due terzi (71%) sarebbero disposti a pagare fino a 500 euro in più, ovvero il costo massimo che i produttori sosterrebbero per ridurre significativamente l’inquinamento delle auto a combustione interna. Ma il ragionamento ‘green’ degli intervistati va oltre, e porta a un’altra richiesta: per fissare i nuovi limiti Euro7 non devono più essere considerate le condizioni di guida ‘ideali’ ma quelle ‘reali’. In questo caso, oltre il 91% degli intervistati in Italia concorda sul fatto che le auto dovrebbero rispettare i requisiti minimi di legge in materia di inquinamento, indipendentemente da come, quando e dove siano guidate.

Ridurre le emissioni delle auto costa meno di una verniciatura

“L’industria automobilistica sostiene che ridurre le emissioni delle auto sia troppo costoso quando, in realtà, costa meno di una verniciatura – osserva Carlo Tritto, Policy Officer di T&E Italia -. I cittadini vogliono che le auto siano più ecologiche possibile. Il fatto di dimostrarsi disposti a pagare di più per averle è una sfida alle case automobilistiche: non hanno più scuse per non proporre motori il più possibile puliti”.
La Commissione europea sta valutando varie proposte per introdurre nuove regole sulle emissioni dei veicoli, che contribuirebbero a migliorare la pessima qualità dell’aria rilevata in molte città europee. Si stima che l’aggravio di costo per i produttori si aggirerebbe tra i 100 e i 500 euro per auto. Calcoli che l’industria dell’automotive contesta, facendo pressioni per indebolire le nuove regole.

I limiti delle regole attuali

I limiti sulle emissioni attualmente in vigore non si applicano agli spostamenti brevi nelle città, nonostante i motori emettano di più. In città le auto si fermano e ripartono più spesso, accelerando rapidamente, 
Le auto nuove poi, riferisce Adnkronos, vengono controllate solo nei primi 5 anni di vita o fino a 100.000 chilometri percorsi. Tuttavia, molti veicoli restano sulle strade europee molto più a lungo, soprattutto nei Paesi dell’Europa meridionale, centrale e orientale, esponendo di fatto milioni di cittadini a emissioni maggiori.

Commercio agroalimentare: in Europa +6,1% di crescita complessiva

Nel periodo da gennaio a settembre 2021 il valore totale del commercio agroalimentare della Ue, ovvero delle esportazioni e delle importazioni, ammonta a 239,5 miliardi di euro, per un aumento del 6,1% rispetto al periodo corrispondente dell’anno precedente. Gli ultimi dati sul commercio agroalimentare della Ue indicano che le esportazioni sono aumentate dell’8%, attestandosi a 145,2 miliardi di euro, mentre l’aumento registrato dalle importazioni è del 3,5% rispetto ai primi 9 mesi del 2020, un aumento che ha permesso di raggiungere un fatturato complessivo pari a 94,2 miliardi.

L’export maggiore è verso gli Stati Uniti

Questi dati riflettono un’eccedenza complessiva del commercio agroalimentare equivalente a 51 miliardi di euro per i primi nove mesi del 2021, pari a un aumento del 17% rispetto allo stesso periodo del 2020. La crescita maggiore delle esportazioni si registra verso gli Stati Uniti, per un aumento del 15%, principalmente grazie alle esportazioni di prodotti quali vino, acquaviti e liquori, ma anche cioccolato e dolciumi. In aumento anche le esportazioni verso la Corea del Sud, in virtù delle eccellenti performance del vino, della carne suina, del frumento e del frumento segalato, e le esportazioni verso la Svizzera.

Aumentano i prodotti provenienti dal Brasile

Quanto alle esportazioni agroalimentari verso il Regno Unito nel 2021 hanno per la prima volta superato l’importo del corrispondente periodo dell’anno precedente, aumentando di 166 milioni di euro. Si segnalano al contrario riduzioni significative del valore delle esportazioni verso Arabia Saudita, Hong Kong e Kuwait. Per quanto riguarda le importazioni agroalimentari, l’aumento maggiore è stato registrato per i prodotti provenienti dal Brasile, le cui importazioni sono cresciute di 1,4 miliardi, con un aumento del 16 % rispetto allo stesso periodo del 2020. In crescita anche le importazioni da Indonesia, Argentina, Australia e dall’India.

Vino, acquaviti e liquori i più esportati

Per contro, riporta Italpress, diminuzioni considerevoli sono state rilevate nelle importazioni da diversi paesi, tra le quali la più significativa è la diminuzione di 2,9 miliardi, pari al 27%, delle importazioni provenienti dal Regno Unito, seguita da quelle provenienti da Stati Uniti, Canada, Nuova Zelanda e Moldavia. Per quanto riguarda le categorie di prodotti, il periodo gennaio-settembre 2021 ha registrato un forte aumento dei valori di esportazione di vino, acquaviti e liquori. Altri significativi aumenti del valore delle esportazioni sono stati osservati per gli oli di colza e di girasole, il cioccolato e la pasticceria. Sono viceversa diminuite considerevolmente le esportazioni di alimenti per bambini e di frumento.

Sace fa crescere le imprese: più fatturato e posti di lavoro

Nel 2019 il contributo di Sace sulle imprese italiane ha generato 13,8 miliardi di euro di fatturato addizionale, e oltre 40 mila posti di lavoro. Inoltre, le aziende che hanno beneficiato degli strumenti di Sace, la società del gruppo italiano a partecipazione pubblica Cassa Depositi e Prestiti, di Simest e della controllata Sace Bt, hanno generato ulteriori 26 miliardi lungo le rispettive filiere produttive. Si tratta dei principali risultati emersi dall’analisi d’impatto economico e sociale realizzata dall’ufficio studi di Sace, insieme a Prometeia, su oltre 23mila operazioni che hanno coinvolto 8.360 imprese attive in 162 Paesi, e mobilitato oltre 163 miliardi di risorse tra il 2005 e il 2019.

Più che raddoppiato il numero di imprese clienti 

Dall’analisi emerge che il numero di operazioni è passato dalle circa mille del 2008 alle oltre 2 mila del 2019, mentre il numero di imprese clienti è più che raddoppiato, passando dalle 500 del 2008 alle oltre 1.300 nel 2019, di cui il 75% Pmi. E a beneficiarne di più è l’export: secondo l’Istat dal 2010 al 2019 il numero degli esportatori nazionali è aumentato del 3,4%, rispetto al 22,5% registrato tra le imprese clienti di Sace e Simest.  Tra i settori spicca la meccanica strumentale, con oltre il 30% delle imprese, in particolare dei comparti macchine, moda, costruzioni e alimentare. Rilevanti però risultano anche i comparti ad alta intensità tecnologica e dei mezzi di trasporto. Per Sace Bt si evidenziano i settori più legati al consumo, come ad esempio agroalimentare, moda e distribuzione.

Il 58% è nel Nord-Est

Negli ultimi due anni si conferma poi anche la forte crescita delle imprese appartenenti ai settori del Made in Italy (agroalimentare e sistema moda).
Per quanto riguarda la distribuzione a livello territoriale è il Nord-Est a guidare la classifica, con Lombardia, Veneto ed Emilia Romagna, che rappresentano il 58% delle imprese. Al Sud si distinguono Campania, Puglia e Sicilia. Quanto alla destinazione delle strategie di internazionalizzazione, tra il 2015 e il 2019 le principali geografie di riferimento sono state il Brasile, gli Emirati Arabi Uniti e la Russia. Solo nel 2019, anche l’India ha avuto un ruolo in primo piano.

L’analisi degli strumenti

Nello specifico, gli strumenti analizzati hanno riguardato l’export credit di Sace (volto a proteggere dal rischio insolvenza e diviso in credito fornitore, credito acquirente e documentario), le garanzie Sace per facilitare l’accesso al credito e migliorare la competitività nelle gare d’appalto internazionali, e gli strumenti di sostegno degli investimenti diretti esteri. Il factoring estero per garantire liquidità alle imprese, con strumenti per la patrimonialità, patrimonializzazione ed export credit sono stati messi in campo da Simest. Invece, per Sace Bt l’analisi ha considerato la polizza globale, che consente alle imprese di assicurare l’intero fatturato dilazionato, e la sviluppo export, dedicata all’attività internazionale della clientela.

Riforma fiscale: quanto risparmieranno gli italiani sull’Irpef 2022?

La riforma fiscale dell’Irpef varata dal Governo Draghi prevede quattro aliquote anziché cinque, e garantisce una detrazione di base da 3.100 euro contro gli attuali 1.880 euro. Come ricorda laleggepertutti.it, con la riforma fiscale si alza sopra gli 8.000 euro la soglia della ‘no tax area’, ovvero aumenta il numero dei contribuenti più poveri esenti dal pagamento dell’Irpef. E tale limite viene portato a 8.500 euro per i pensionati. Ma quanti soldi risparmieranno gli italiani in tasse dal 2022? E il ‘peso’ che verrà tolto da una parte sarà caricato da un’altra?

Bonus e detrazioni: chi ne beneficerà?

Il nuovo sistema di detrazioni fiscali previsto dal 2022 si ‘mangerà’ però il bonus Renzi da 80 euro, portato dal secondo Governo Conte a 100 euro. In pratica, non si troverà più in busta paga il contributo in soldi, ma i lavoratori ne beneficeranno sotto forma di detrazione fiscale. Non tutti, però. Il bonus ‘in moneta’ continuerà a essere versato a chi ha un reddito inferiore a 15.000 euro, poiché un’Irpef troppo bassa non consentirebbe di utilizzare la detrazione. Ma come si traduce nella pratica tutto questo impianto teorico di bonus e di sconti?

Il peso delle tasse sulle fasce di reddito imponibile

Il ministero dell’Economia prova a spiegare in una tabella che riporta il reale peso dell’Irpef sul reddito imponibile, e che si può sintetizzare in questo modo: chi guadagna tra 12mila e 15mila euro l’anno avrà un peso Irpef quasi impercettibile, circa il 2%. Da 15mila a 20mila euro, il peso Irpef sarà il 9,6%, da 20mila a 26mila euro, il 13%, da 26mila a 29mila euro, il 17,4%, da 29mila a 35mila euro, il 19,9%, da 35mila a 40mila euro, il 22,5%, da 40mila a 50mila euro, il 25%, da 50mila a 55mila euro, il 27,1%, da 55mila a 60mila euro, il 28,2%, e così via, fino ai redditi più alti.

La fascia centrale dei redditi è la più colpita

Quelli, ad esempio, tra 90mila e 100mila euro avranno un peso reale dell’Irpef di quasi il 33%, e superano il 40% i redditi che appartengono ai contribuenti più ricchi, con redditi sopra i 300mila euro. Questa tabella dice che l’aumento del peso dell’Irpef accelera proprio nella fascia centrale dei redditi, quella cioè a cui appartiene la maggior parte dei lavoratori dipendenti. Secondo i ‘calcoli frenetici’ di questi giorni, il risparmio ‘in soldoni’ che si troverà in busta paga sarà questo: fino a 15mila euro sarà di 61 euro, da 15mila a 28mila euro, 150 euro, da 28mila a 50mila euro, 417 euro, da 50mila a 55mila euro, 692 euro, da 55mila a 75mila euro, 468 euro, e oltre 75mila euro, 247 euro.

Italia, perchè le donne medico sono ancora poche?

Le donne medico nel nostro Paese sono in aumento, e sono anche bravissime. Però, a oggi, sono in numero nettamente inferiore ai colleghi uomini. Perchè esiste questa differenza, questo gender gap in una professione così importante? A simili quesiti ha risposto una recente ricerca condotta da Univadis Medscape Italia – il portale di informazione per i professionisti della salute con notizie, strumenti, aggiornamenti e formazione continua per la classe medica – che ha indagato a che punto siamo nel nostro Paese in tema di gender equity in medicina. Che ha evidenziato, purtroppo, che ancora oggi esistono delle disparità di genere tra i professionisti sanitari in termini di opportunità di carriera, di trattamento sul luogo di lavoro e addirittura di credibilità agli occhi dei pazienti.

Differenze nelle opportunità di carriera

Il sondaggio, condotto on line su su 1.779 intervistati ( 999 maschi e 780 femmine), sottolinea che la progressione della carriera ha lo stesso interessa da parte dei due generi. Però con delle differenze sostanziali nella realtà dei fatti:  il 44% delle donne si sente penalizzata contro il solo 10% degli uomini. L’impatto sembra attenuarsi nel caso del reddito, forse anche per le caratteristiche del campione, per lo più composto da medici dipendenti o convenzionati con il servizio pubblico, dove lo stipendio non è oggetto di contrattazione individuale.

Gli effetti del gender gap

A ribadire che esista un gender gap nella professione medica sono i numeri e le risposte fornite dal panel intervistato. I rappresentanti maschili del campione sono divisi quasi a metà tra chi ha un ruolo direttivo e chi no, fatto che non vale per il sesso femminile: solo 1 donna su 3 ricopre un ruolo apicale, mentre circa il 48% riferisce di aver personalmente subito un trattamento diverso sul luogo di lavoro perché donna. Questo sentimento risulta preponderante nella generazione X (nate tra 1981 e il 2000), probabilmente più consapevole dei propri diritti rispetto alle generazioni precedenti. Anche in questioni in cui teoricamente la qualità scientifica dovrebbe essere l’unico metro di giudizio, le donne hanno la chiara percezione di partire svantaggiate: oltre 1 su 5 trova ingiustificate difficoltà a pubblicare nella letteratura scientifica e 1 su 3 a essere invitata a presentare le proprie ricerche in un consesso di colleghi.

Il ruolo dei pazienti

Ma le dottoresse si sono sentite “giudicate” anche dai pazienti: l’indagine rivela che le donne medico vengono spesso confuse con altri professionisti sanitari – come ad esempio gli infermieri – e hanno una minore credibilità agli occhi del malato, del loro accompagnatore e a volte dei colleghi uomini, specialmente se il rapporto lavorativo è occasionale.

Nel 2022 scatta il limite all’uso di denaro contante

A partire dal 1° gennaio 2022 viene fissato un nuovo limite all’utilizzo dei contanti, che da duemila euro scenderà a 999,99 euro quindi. Questa la cifra massima utilizzabile per chi vorrà pagare ancora in modo ‘tradizionale’. Un limite che si applica non solo alle vendite, ma anche a qualsiasi altro passaggio di denaro tra soggetti diversi, come le donazioni e i prestiti. Ma cosa succede in caso di prelievi con il bancomat e versamenti in banca? Secondo Laleggepertutti.it il presupposto su prelievi e versamenti in banca è che “non c’è alcun trasferimento della proprietà del denaro: l’istituto di credito è un semplice depositario. È come se i soldi non uscissero mai dalla disponibilità del relativo titolare”. Ma solo per società e imprenditori viene fissato un limite mensile ai prelievi di 10.000 euro. 

Quando scattano i controlli?

“I controlli fiscali – continua Laleggepertutti.it – scattano solo sui versamenti di contanti sul conto corrente, sia bancario o postale. Questo perché l’articolo 32 del Testo Unico sulle Imposte sui redditi stabilisce che tutti i movimenti in entrata sul conto si presumono redditi salvo prova scritta contraria. Il contribuente quindi si trova dinanzi a una scelta tutte le volte in cui versa contanti o riceve un bonifico: o ‘denuncia’ tale somma nella propria dichiarazione dei redditi, andando così a pagare le tasse ma non rischiando nulla, oppure deve essere pronto a difendersi da un’eventuale richiesta di chiarimenti”. Questa difesa deve essere rivolta a dimostrare che la somma versata o incassata è il frutto di redditi esentasse, come donazioni o risarcimenti, o già tassata alla fonte, come una vincita al gioco.

Segnalazione obbligatoria se i prelievi superano 10.000 euro mensili 

Quando la somma prelevata in contanti è ingente, continua Laleggepertutti, “potrebbe succede che la banca chieda chiarimenti al proprio cliente circa la destinazione del denaro”, che dovrà autocertificare per quali spese verranno utilizzati i contanti. È poi prevista una segnalazione obbligatoria alla Uif (l’Unità di informazione finanziaria) quando i prelievi, nell’arco dello stesso mese complessivamente superano 10.000 euro. Ciò vale anche se si tratta di prelievi frazionati in più operazioni di importo inferiore. La segnalazione viene fatta non per una questione fiscale ma per un controllo sulle attività illecite, quindi, non scatteranno controlli da parte dell’Agenzia delle Entrate.

Il limite esiste sole per le società

I controlli sui prelievi non sussistono per la generalità dei contribuenti, sono invece previsti per imprenditori e società. Per questi ultimi esiste il tetto di 1.000 euro giornalieri e comunque di 5.000 euro mensili. Al di sotto di questi importi non si rischia nulla. Superato invece tale tetto, l’Agenzia delle Entrate pretende la dimostrazione della destinazione della somma, e in caso di assenza di prove, avvia il recupero a tassazione del denaro che si presume destinato a investimenti in nero.

Gdo e acquisti biologici online: +67% in un anno

Gli italiani preferiscono i prodotti bio: nel 2021 sono 23 milioni le famiglie che consumano prodotti alimentari biologici, 10 milioni in più rispetto al 2012. Di pari passo, continuano a crescere anche gli acquisti di questi prodotti, sia sul mercato interno, per un valore di 4,5 miliardi di euro (+234% rispetto al 2008), sia sui mercati internazionali, dove il valore dell’export bio italiano sui mercati esteri si attesta a 2,9 miliardi di euro, il 671% in più rispetto al 2008. Il 2021, poi, ha consolidato i già positivi risultati del 2020, con un’ulteriore crescita del 5% in un solo anno. A quanto emerge dall’Osservatorio Nomisma, le performance più brillanti riguardano le vendite online veicolate dalla grande distribuzione, tanto che nel corso del 2021 questo canale ha raggiunto una dimensione pari a 75 milioni di euro, segnando una crescita del 67% in un solo anno. Un ulteriore balzo che conferma la tendenza registrata ai tempi del lockdown.

Vendite bio nell’e-grocery: +214% durante il lockdown

A cambiare radicalmente le abitudini di consumo degli italiani è stata la pandemia. Rispetto allo stesso periodo del 2019, le vendite bio nell’e-grocery sono cresciute del +214% durante il periodo di lockdown, e tra maggio e agosto 2020 le vendite di alimentari bio hanno continuato a correre (+182%, rispetto allo stesso periodo 2019) fino alla conferma registrata nel 2021 (+67%). Per questo motivo, FederBio Servizi e Nomisma Digital hanno deciso di unire le forze per sostenere l’intero settore biologico italiano, lanciando il progetto e-BIO, una piattaforma di servizi in grado di rispondere alle esigenze di sviluppo degli strumenti e delle strategie di e-commerce delle aziende biologiche, riporta Askanews.

Una sfida per le aziende del mondo biologico

“L’aumento dei consumi bio, la crescente attenzione degli italiani verso i temi di salute e sostenibilità e le nuove opportunità derivanti dalle politiche rivelano una sfida che le aziende del mondo biologico devono riuscire a cogliere europee – spiegano i promotori -. Il settore del biologico ha infatti delle specificità che vanno tenute presenti se si vogliono cogliere appieno le opportunità che oggi sono presenti sul canale e-commerce e che possono essere intercettate pienamente solo avendo una approfondita conoscenza del prodotto, del mercato, del consumatore e del processo di vendita online”.

L’e-commerce è sempre più strategico per il settore agroalimentare

La mission di e-BIO è quindi quella di supportare il sistema agroalimentare italiano e i suoi attori per cogliere pienamente le opportunità di sviluppo delle produzioni biologiche, riferisce il Sole 24 Ore. “Il canale e-commerce diventa un asset sempre più strategico – commenta Silvia Zucconi, responsabile market intelligence Nomisma -: il trend positivo continuerà anche nei prossimi anni, considerata la progressiva crescita degli acquirenti online e le caratteristiche del profilo del consumatore bio. La transizione digitale delle imprese agroalimentari diventa così un asset imprescindibile”. 

La digital life semplifica la vita degli italiani

Il 70,4% degli italiani ritiene che la digitalizzazione abbia migliorato la qualità della vita, semplificando tante attività quotidiane. Nell’Italia post-pandemia per il 74,4% degli utenti è infatti ormai abituale l’uso combinato di una pluralità di device, e il luogo dal quale ci si connette non ha più importanza: il 71,7% degli utenti svolge ovunque le proprie attività digitali, e il dato sale al 93% tra i giovani.  Anche gli orari sono relativi, con il 25,5% che naviga spesso di notte, e tra i giovani il dato sale al 40%. In questo scenario così avanzato, dove la digital life sembra avere semplificato la vita della maggior parte delle persone, si contano però ancora 4,3 milioni di utenti di dispositivi senza connessione. È quanto emerge dalla ricerca La digital life degli italiani, realizzata dal Censis in collaborazione con Lenovo.

II 90,3% possiede device in linea con le proprie esigenze

Se da un lato sono complessivamente 22,7 milioni gli italiani che lamentano qualche disagio in casa, con stanze sovraffollate in cui è complicato svolgere le proprie attività digitali (14,7 milioni) o connessioni lente o malfunzionanti (13,2 milioni), dall’altro, il 90,3% dichiara di possedere device in linea con le proprie esigenze. Il 71,1% ha una connessione casalinga ben funzionante, e il 67,9% risiede in abitazioni in cui ciascuno ha uno spazio in cui svolgere le proprie attività digitali. Inoltre, il 69,4% si sente sicuro quando effettua pagamenti online, e il 55,6% utilizza almeno qualche volta i servizi cloud.

Anche la vita di coppia si ‘digitalizza’

Se il 55% degli italiani è convinto che la vita di coppia abbia tratto beneficio dalle opportunità offerte dai dispositivi digitali, anche nel rapporto a due si ridefiniscono nuovi equilibri in questa fase di transizione. Il 42,7% dimostra una grande fiducia nel partner e condivide con la dolce metà le password del telefono cellulare, dell’e-mail e dei profili dei social network. Ma sono 14 milioni gli italiani che si lamentano per il tempo eccessivo che il compagno o la compagna passa al cellulare. E sono 7 milioni quelli che rivelano di essersi sentiti gelosi a causa delle interazioni social del proprio partner. Inoltre, 6 milioni spiano le attività del partner sui social, e 12 milioni confessano di visitare anche le bacheche degli ex.

Ma c’è chi non è a proprio agio nell’ecosistema digitale

Complessivamente, 24 milioni di italiani non sono pienamente a loro agio nell’ecosistema digitale. E se 9 milioni riscontrano difficoltà con le piattaforme di messaggistica istantanea, 8 milioni hanno difficoltà con la posta elettronica e con i social network. Inoltre, 7 milioni hanno difficoltà con la navigazione sui siti web, 7 milioni con le piattaforme di streaming per eventi sportivi, film e serie tv, e 6 milioni hanno difficoltà con l’e-commerce. Oltre a questi, 5 milioni non sanno fare i pagamenti online, e 4 milioni non hanno dimestichezza con l’uso delle app e delle piattaforme per le videochiamate e i meeting virtuali.