La salute mentale nel 2022 preoccupa più del Covid

Quanto conta la salute mentale per i cittadini del mondo? Tanto quella fisica, almeno per gli italiani e per la maggior parte degli abitanti dei 34 Paesi coinvolti dall’indagine Ipsos in occasione della Giornata della Salute Mentale, che cade ogni 10 ottobre. Quest’anno, inoltre, il report non è privo di sorprese: per la prima volta, infatti, il tema della salute mentale è avvertito come più “pericoloso” rispetto al cancro.

Dopo il Covid, prima del cancro

L’ultimo sondaggio rivela che, pensando ai principali problemi di salute che le persone devono affrontare oggi nel proprio Paese, il 36% degli intervistati nomina la salute mentale, in aumento di 5 punti rispetto al 2021 (31%), superando per la prima volta il cancro (34%) e diventando il secondo problema di salute percepito a livello internazionale, subito dopo il Covid-19 (47%). Ma nello specifico, cosa ne pensano gli italianI? Il 55% dei nostri connazionali afferma di pensare spesso al proprio benessere mentale, in aumento di 4 punti rispetto al 2021 e leggermente sotto la media internazionale pari al 58%. Guardando, invece, al benessere fisico si registrano percentuali più alte: il 77% degli italiani afferma di pensarci spesso, in aumento di 5 punti rispetto allo scorso anno e sopra la media internazionale pari al 70%.

Le percezione nel resto del mondo

In media, a livello internazionale, quasi 8 persone su 10 (76%) considerano salute mentale e fisica ugualmente importanti quando si tratta della propria salute personale. Dei 34 Paesi esaminati, in 30 di essi la percentuale supera il 70% e soltanto in 4 è inferiore (Thailandia con il 66%, Arabia Saudita con il 54%, India con il 49% e Arabia Saudita con il 48%). In Italia, l’80% degli intervistati sostiene che salute mentale e fisica abbiano la medesima importanza, infatti, soltanto il 13% pensa che la salute mentale abbia un’importanza maggiore rispetto a quella fisica e il 6%, invece, che la salute fisica sia più importante di quella mentale. L’opinione pubblica italiana sostiene che il benessere mentale e fisico siano ugualmente importanti, ma il sistema sanitario riflette questa visione e fornisce un egual trattamento? In base alle percezioni degli italiani, la risposta è no: il 40% ritiene che salute mentale e fisica siano trattate allo stesso modo. Il 9% ritiene che alla salute mentale sia data priorità, mentre il 41% sostiene che il sistema sanitario si concentri maggiormente sulla salute fisica. Le medesime percezioni si estendono anche al resto dei Paesi esaminati nel sondaggio d’opinione Ipsos, infatti, a livello internazionale un terzo (33%) ritiene che salute mentale fisica siano tratte allo stesso modo. Questi dati indicano una discrepanza quando si tratta di come il pubblico percepisce la propria salute e di come viene trattata dal sistema sanitario del proprio Paese: a livello internazionale, soltanto il 7% degli intervistati afferma che la propria salute fisica sia più importante di quella mentale, ma il 41% pensa che sia trattata con maggiore attenzione.

I consumi non food crescono. Nonostante tutto

Elettronica, abbigliamento, arredo. Gli acquisti non alimentari crescono, nonostante il periodo non proprio incoraggiante che stiamo vivendo. E’ la fotografia che emerge dall’Osservatorio Non Food di GS1 Italy, a 20 anni dalla prima edizione, che analizza l’andamento del mondo non alimentare e traccia le macro-tendenze per il futuro. Con un focus sulle intenzioni di spesa 2022 degli italiani. Entrando nel merito dell’analisi, si scopre che l’ultima rilevazione evidenzia una crescita annua di +12% del giro d’affari dei 13 comparti Non Food monitorati, che arriva così a toccare quota 104,7 miliardi di euro. Rialzo che porta non solo a recuperare le perdite subite nel 2020, ma anche ad avere un valore corrente superiore agli anni precedenti: nel medio periodo (2017-2021) la tendenza, seppure in modo meno accentuato, è sempre positiva: +2,2%.

Nuove dinamiche emerse con la pandemia
“Con il quasi totale superamento dell’emergenza sanitaria, il 2021 ha visto alcuni fenomeni esplosi durante la pandemia ridimensionarsi, sebbene non in modo uniforme e non per tutte le famiglie di prodotti, e alcune pratiche, come lo smart working, entrare nella nuova normalità contribuendo a ridisegnare i confini dell’arena competitiva tra le diverse agglomerazioni commerciali” spiega Marco Cuppini, research and communication director di GS1 Italy. “Sarà fondamentale analizzare l’impatto della discontinuità del biennio 2020-2022 sulle abitudini dei consumatori, sempre più spesso alla ricerca di esperienze phygital e integrate, per poter definire al meglio le strategie di sviluppo dei prossimi anni, in un contesto che sarà molto diverso da quello precedente e che dovrà tenere conto anche delle tendenze inflazionistiche e dell’esplosione del digitale, a cui i vari contenitori commerciali dovranno reagire con scelte esperienziali sempre più efficaci”.

Qualche timore per il futuro
Il 2022 sta già portando nuove sfide agli operatori del Non Food, tra inflazione, rincari e nuove dinamiche legate sia al contesto internazionale, sia al nuovo atteggiamento di spesa dei consumatori italiani. Dal sondaggio sul sentiment dei consumatori condotto da Metrica Ricerche per l’Osservatorio Non Food è infatti emerso che una percentuale compresa tra il 50% e il 70% degli intervistati – a seconda del comparto merceologico – dichiara che nei prossimi mesi acquisterà meno prodotti non alimentari oppure tenderà a rinviarne gli acquisti, escludendo di farli nel 2022. Una decisione dettata dalla previsione di fronteggiare maggiori costi degli acquisti di prima necessità (come i prodotti alimentari) e di quelli obbligati (come carburanti e bollette energetiche).

Gli italiani sono phygital ma le aziende non sono pronte

I consumatori italiani ricercano un’esperienza fluida nell’utilizzo congiunto del canale fisico e digitale per tutto il ciclo vita dei loro acquisti. In pratica, sono sempre più phygital. Ma a che punto sono le aziende? Secondo il 65% degli italiani, la maggior parte di brand e retailer presenti in Italia è ancora lontana dall’offrire un buon livello di soluzioni integrate tra canale fisico e online. A quanto emerge da Gli italiani e le esperienze di acquisto Phygital, la ricerca di BVA Doxa in collaborazione con Salesforce Italia, se infatti le soluzioni phygital incontrano il gradimento del 96% del campione intervistato, solo il 21% dichiara che i negozi hanno realizzato gran parte di queste soluzioni.

Il negozio fisico mantiene un ruolo centrale per la spesa alimentare

Il punto vendita fisico è nettamente preferito per fare la spesa alimentare (86% per i prodotti freschi e 84% per i prodotti da dispensa). Gli aspetti più graditi sono la possibilità di vedere e toccare con mano i prodotti (66%), poter avere subito gli oggetti desiderati (52%) e interagire con il personale di vendita (47%).
Un aspetto critico di scelta è l’assistenza post-acquisto: il bisogno di rassicurazione nel post-vendita (47%) viene soddisfatto anche dall’online, che però delude più facilmente le aspettative. I driver di scelta che spingono gli italiani a fare spese in digitale sono, in particolare, la possibilità di avere prezzi migliori e offerte convenienti (61%), ma anche la comodità di poter effettuare gli acquisti direttamente da casa propria (58%).

I limiti dell’online

L’acquisto online è in grado di attivare maggiormente le leve del desiderio e dell’immaginazione. Lo dichiara il 45% del campione intervistato. Solo il 7% ritiene che il canale fisico faccia viaggiare con l’immaginazione nella fase di scelta. Se entrambi i canali sono in grado di far nascere il ‘colpo di fulmine’ per un prodotto, è però l’online ad avere un limite. Per un italiano su tre (33%) il canale digitale rischia di deludere più facilmente le aspettative rispetto a quello fisico (9%).

I vantaggi del phygital secondo gli italiani

Dai dati raccolti emerge una richiesta forte e trasversale alle diverse esperienze di acquisto phygital. Tra i vantaggi individuati dagli italiani nel potersi muovere in modo fluido, congiunto e soddisfacente tra canale online e fisico, emergono in particolare la possibilità di avere un’esperienza d’acquisto più consapevole e informata (57%), un customer journey più comodo (57%), usufruire di una soluzione in grado di adattarsi alle proprie esigenze (54%), e una maggiore sicurezza negli acquisti (51%).

A Milano tornano a crescere le imprese guidate da under 35

Non succedeva dal 2014: nel 2021 le imprese guidate da under 35 tornano a crescere. Dopo una lunga fase calante, a Milano Monza Brianza le imprese gestite da giovani under 35 hanno registrato una buona performance, che ha visto incrementarsi rispetto al 2020 sia il numero delle nuove nate (+21,6%) sia quello delle imprese attive (+1,2%). E Milano si conferma capitale italiana delle start up innovative: 1 su 5 ha sede in città.
Sono alcuni dei dati emersi in occasione dell’incontro Milano alla prova del futuro. Giovani, innovazione e start up = Risorse, opportunità e sfide, dedicato alla presentazione del rapporto annuale Milano Produttiva, realizzato dal Servizio Studi Statistica e Programmazione della Camera di commercio di Milano Monza Brianza Lodi.

Il sistema imprenditoriale

Complessivamente il sistema imprenditoriale di Milano Monza Brianza Lodi registra nei primi sei mesi del 2022 una performance positiva delle iscrizioni, con 17.129 nuove imprese nate. A fronte delle 12.173 chiusure, il saldo tra iscrizioni e cancellazioni è stato positivo: +4.956 imprese, con il contributo determinante di Milano (+4.237). In attesa di sapere quanto inciderà sul quadro economico la situazione geopolitica internazionale, le previsioni sul valore aggiunto indicano per il 2022 una crescita del +2,9% per Milano e Monza Brianza, e +1,7% per Lodi.
Probabilmente alcune aziende, seppur in crisi, ritardano la chiusura, ma la natalità è praticamente tornata ai livelli pre-Covid: tra il primo semestre 2022 e il primo semestre 2019 la differenza negativa è di sole 184 imprese (-1%).

Le start up

Uno dei cluster più interessanti nello scenario locale è quello delle start up innovative. Nell’area di Milano Monza Brianza Lodi, a fine giugno 2022 se ne contano 2.912, il 74,6% del totale regionale e un quinto del nazionale. Inoltre, rispetto a luglio 2021, il loro numero è cresciuto del 5,7% e rispetto a giugno 2019, +48,6%. La gran parte è localizzata nella provincia di Milano (2.737), prima nella classifica nazionale, seguita da Roma (1.599), Napoli (675) e Torino (532). Si tratta di imprese di piccola dimensione, società di capitali, principalmente Srl e Srl semplificate, che operano soprattutto nei servizi avanzati, come produzione di software e consulenza informatica, attività dei servizi d’informazione, ricerca scientifica e sviluppo.

Il trend dei settori economici

Nel primo trimestre 2022 si osserva un consolidamento delle dinamiche territoriali e settoriali. Per l’industria manifatturiera la produzione ha continuato a crescere in tutti i territori. L’incremento più significativo si è registrato in provincia di Monza Brianza (+13,3%), seguita dalla città metropolitana di Milano (+9,6%) e dalla provincia di Lodi (+6,4%). In relazione ai servizi, la dinamica del fatturato è in significativo recupero per la città metropolitana di Milano (+21,1%) e per la provincia di Monza Brianza (+20,4%), mentre la provincia di Lodi (+5,3%) registra un aumento più contenuto. Il commercio ha evidenziato una ripresa del fatturato particolarmente intensa per le province di Monza Brianza (+15,6%) e di Milano (+13%). Dinamica più contenuta per il territorio di Lodi (+7,3%).

Quanto costa alle imprese ogni dato “rubato”? 

Secondo il report Cost of a Data Breach di Ibm, in Italia il danno medio relativo al furto di dati aziendali è di 3,4 milioni di euro, +13% rispetto al 2020, e a livello globale la cifra arriva a 4,35 milioni di dollari. Il livello più alto degli ultimi cinque anni. Considerando che non si parla di spiccioli, a rimetterci sono anche i consumatori, sui quali le aziende scaricano in parte i costi degli attacchi. In pratica, in Italia ogni singolo dato rubato alle imprese costa in media 143 euro, mentre a livello globale si sale a 164 dollari. L’industria farmaceutica è quella più colpita, con 182 euro, seguita dal settore tecnologico, con 174 euro e i servizi finanziari, ogni singolo dato rubato costa 173 euro.

Anche i consumatori pagano le conseguenze delle violazioni

“A pagare le conseguenze delle violazioni alla security non sono più solo le aziende vittime di attacchi, ma sempre più i consumatori”, spiega Ibm. Per far fronte a questi costi, il 60% delle organizzazioni ha infatti aumentato i prezzi dei prodotti e servizi. In pratica, sottolinea Ibm, “i cybercriminali stanno acquisendo un peso sempre maggiore nel definire le sorti dell’economia globale, contribuendo con la loro attività all’incremento dell’inflazione e alle interruzioni nelle catene di approvvigionamento”. 
In ogni caso, se in Italia il primo vettore di attacco è il phishing non è questo a causare i danni più consistenti. Molto più elevati i costi dovuti alla perdita accidentale di dati: in media poco meno di 5milioni di euro.

Pagare il ricatto dei ransomware non conviene 

Molto ricorrenti (uno su dieci) sono i ransomware, attacchi che chiedono un riscatto. Pagare però non è una buona idea: le vittime che hanno scelto di pagare hanno risparmiato solo 610.000 dollari rispetto alle organizzazioni che non l’hanno fatto. Considerando poi che nel 2021 la richiesta media di pagamento è stata di 812.000 dollari, pagare non sembra essere conveniente né a livello operativo né economico. Vanno inoltre considerati altri danni collaterali. Si sta infatti accentuando quello che Ibm chiama ‘effetto persecutorio’: l’83% delle organizzazioni ha subito più di una violazione. Inoltre, il riscatto finanzia indirettamente attacchi futuri, mentre l’azienda potrebbe utilizzare la stessa cifra per migliorare la propria cybersicurezza. In altre parole, si finisce per sostenere l’avversario anziché rafforzare la propria difesa.

I sistemi Zero Trust sono la soluzione

Solo il 40% è in possesso di un livello sufficientemente maturo di sistemi Zero Trust, riferisce AGI, con un approccio che presuppone autenticazione e verifiche. Eppure i risultati sono chiari, le aziende italiane che hanno sistemi maturi sono riuscite a dimezzare i costi dei data breach: 2,16 milioni di euro contro 4,86 milioni di quelle che non hanno ancora adottato contromisure. Il rapporto Ibm conferma quindi come la spesa in sicurezza informatica sia in realtà un investimento, in particolare quando rivolto ad automazione e Intelligenza artificiale. Le organizzazioni che hanno adottato in modo massiccio soluzioni di questo tipo hanno pagato mediamente 3 milioni di dollari in meno.

Industria, a maggio il fatturato cresce del 23,6% su base annua  

Il fatturato dell’industria segna una crescita a doppia cifra. Lo rivela l’ultimo rapporto dell’Istat, riferito a di maggio 2022. In base alle stime al netto dei fattori stagionali, il fatturato aumenta dell’1,4%, in termini congiunturali, registrando una dinamica positiva su entrambi i mercati (+1,5% quello interno e +1,1% quello estero). Nel trimestre marzo-maggio 2022 l’indice complessivo è cresciuto del 7,8% rispetto al trimestre precedente (+8,0% sul mercato interno e +7,3% su quello estero). I dati, in apparenza decisamente positivi, vanno però letti anche sotto un’altra prospettiva. A incidere in modo così significativo sull’incremento è stato l’aumento dei prezzi, in particolare quelli energetici. Il fattore diventa evidente quando si va a confrontare il valore e il volume del fatturato. L’Istat rileva che in termini tendenziali, al netto degli effetti di calendario, si registra un incremento marcato del valore del fatturato sia in termini complessivi sia con riferimento ai principali raggruppamenti di industrie, con aumenti particolarmente significativi per il comparto energetico. La crescita in volume, tuttavia, risulta decisamente più contenuta. A fare la differenza, sono appunto i prezzi.

Dinamica positiva su entrambi i mercati

Al netto dei fattori stagionali, l’aumento è dell’1,4%, in termini congiunturali, registrando una dinamica positiva su entrambi i mercati (+1,5% quello interno e +1,1% quello estero). Nel trimestre marzo-maggio 2022 l’indice complessivo è cresciuto del 7,8% rispetto al trimestre precedente (+8,0% sul mercato interno e +7,3% su quello estero). Con riferimento ai raggruppamenti principali di industrie, a maggio gli indici destagionalizzati del fatturato segnano aumenti congiunturali per l’energia (+9,8%) e per i beni intermedi (+2,4%), mentre si registrano lievi flessioni per i beni strumentali (-1,0%) e per i beni di consumo (-0,2%). Corretto per gli effetti di calendario, il fatturato totale cresce in termini tendenziali del 23,6%, con incrementi del 24,2% sul mercato interno e del 22,4% su quello estero.

Il valore più alto dal 2000

“Seppure in leggera attenuazione rispetto al mese precedente, prosegue a maggio la crescita congiunturale del fatturato dell’industria, con l’indice destagionalizzato che tocca il livello più elevato dall’inizio della serie storica (gennaio 2000). L’indicatore di volume, calcolato a prezzi costanti e relativo al solo comparto manifatturiero, mostra invece una leggera flessione rispetto al mese precedente” si legge nel testo dell’Istituto di Statistica. “In termini tendenziali, al netto degli effetti di calendario, si registra un incremento marcato del valore del fatturato sia in termini complessivi sia con riferimento ai principali raggruppamenti di industrie, con aumenti particolarmente significativi per il comparto energetico. La crescita in volume, tuttavia, risulta decisamente più contenuta”.

Musei e teatri: tornano a crescere le entrate, ma ancora poca innovazione digitale

Secondo i dati emersi dall’Osservatorio Innovazione Digitale nei Beni e Attività Culturali della School of Management del Politecnico di Milano, nel 2021 i numeri riferiti da musei, monumenti e aree archeologiche italiani testimoniano una decisa ripresa delle entrate da biglietteria. Anche per i teatri i numeri indicano una ripartenza, seppur meno decisa, anche a causa della minore possibilità di sfruttare il traino della stagione estiva. Sul fronte dell’innovazione digitale a supporto dei processi, per musei e teatri nell’ultimo anno i numeri sono rimasti stabili, mentre su quello della produzione e distribuzione di contenuti digitali si è assistito a una razionalizzazione.

Quanto è digitale il settore della cultura?

Gli strumenti digitali sono ormai un supporto importante ai processi gestionali nel settore della cultura. I teatri presentano mediamente livelli leggermente più alti dei musei: l’acquisto online, ad esempio, è disponibile nel 78% dei teatri e incide sul totale delle entrate in maniera più significativa rispetto ai musei. Dal sito del teatro transita, infatti, mediamente l’11% dei ricavi, e da altri intermediari online il 12% (musei, 7% e 4%). Quanto alle attività di marketing digitale, il 59% dei teatri fa advertising online o sui social, il 23% Search Engine Optimization, il 10% remarketingm il 58% raccoglie dati in modalità digitale e il 14% ha investito in sistemi di cybersecurity e data protection. Ambiti che registrano percentuali inferiori di adozione da parte di musei, monumenti e aree archeologiche rispetto ai teatri.

Investimenti digitali: dove puntare 

Gli indicatori su cui musei e teatri risultano allineati riguardano l’attenzione alla pianificazione strategica e la presenza di personale dedicato all’innovazione digitale. In entrambi i comparti, solo 1 su 5 ha un piano strategico dedicato al digitale e 1 su 2 non ha nessuna risorsa dedicata. Guardando agli investimenti futuri, per i musei si conferma prioritario lavorare su conservazione e digitalizzazione della collezione, che impegnerà il 28% delle risorse. Riprende centralità anche la digitalizzazione dei servizi di supporto alla visita in loco, per cui si stima verrà stanziato il 19% sul totale degli investimenti.  Per i teatri l’investimento in digitale si concentrerà su marketing, comunicazione e customer care (40%) e ticketing, gestione delle prenotazioni e controllo accessi (18%).

Cresce il ticketing online

Per la fase di ispirazione e ricerca lo strumento più utilizzato sono i canali ufficiali del museo (sito, account social e newsletter, 49%), seguito da motori di ricerca (40%), passaparola (23%) e commenti e recensioni (22%). Nei teatri il canale più utilizzato è il motore di ricerca (28%), seguito dal passaparola (26%). Per la fase di acquisto, si conferma per i musei la prevalenza della biglietteria fisica (45%), tuttavia, è ormai diffuso anche l’utilizzo della biglietteria online sul sito dell’istituzione (30%) o di un rivenditore autorizzato (14%). Per gli spettacoli teatrali, invece, l’online è il canale prevalente, probabilmente anche per gli effetti della pandemia: il 34% ha acquistato sul sito del teatro e il 17% su quello di un rivenditore.

Il 91% di tutti i cyberattacchi inizia con un’e-mail di phishing

In base agli ultimi dati, circa il 91% di tutti i cyberattacchi inizia con un’e-mail di phishing, le cui tecniche sono implicate nel 32% dei casi di tutte le violazioni di dati andate a buon fine. Lo rivelano gli esperti di Kaspersky, che hanno analizzato i dati raccolti da un simulatore di phishing e forniti volontariamente dagli utenti. Questo strumento – il simulatore – consente anche di verificare la maturità informatica dei dipendenti delle aziende, affinchè non si facciano ingannare – per poca esperienza o scarsa conoscenza del fenomeno – da mail ingannevoli. Secondo gli esperti, infatti, quasi un dipendente su cinque clicca sul link, dimostrando la necessità di formazione aggiuntiva sulla cybersecurity.

Le cinque email di pishing più diffuse

Il colosso specializzato nella sicurezza informatica ha anche individuato, attraverso campagne di simulazione, quali sono le tipologie di  email di phishing più efficaci. Nel dettaglio, hanno per oggetto: Tentativo di consegna fallito – Purtroppo il nostro corriere non è riuscito a consegnare il vostro articolo. Mittente: Servizio di consegna della posta. Conversione dei click: 18,5%.; Email non consegnate a causa del sovraccarico dei server di posta. Mittente: Il team di supporto di Google. Conversione dei click: 18%; Sondaggio online tra i dipendenti: Cosa miglioreresti del lavoro in azienda. Mittente: Dipartimento Risorse Umane. Conversione dei click: 18%; Promemoria: Nuovo dress code aziendale. Mittente: Risorse umane. Conversione dei click: 17,5%; Attenzione a tutti i dipendenti: nuovo piano di evacuazione dell’edificio. Mittente: Dipartimento Sicurezza. Conversione dei click: 16%.
Inoltre, tra le altre e-mail di phishing che hanno ottenuto un numero significativo di click ci sono: conferme di prenotazione da parte di un servizio di prenotazione (11%), notifiche di un ordine (11%) e un annuncio di un concorso (10%). Al contrario, le e-mail che minacciano il destinatario o che offrono vantaggi immediati sembrano avere meno “successo”. Ad esempio, un modello con l’oggetto “ho violato il tuo computer e conosco la tua cronologia di ricerca” ha ottenuto il 2% dei click, mentre offerte come quelle di un abbonamento Netflix gratis o di una vincita di 1.000 dollari hanno ingannato solo l’1% dei dipendenti.

“I metodi utilizzati dai criminali informatici sono in costante evoluzione”

“La simulazione di attacchi phishing è uno dei modi più semplici per verificare la cyber-resilience dei dipendenti e per valutare l’efficacia della loro formazione in materia di cybersecurity. Tuttavia, ci sono aspetti significativi che devono essere considerati quando si conduce questa valutazione per renderla davvero efficace. Poiché i metodi utilizzati dai criminali informatici sono in costante evoluzione, la simulazione deve riflettere le tendenze aggiornate dell’ingegneria sociale, oltre agli scenari comuni della criminalità informatica. È fondamentale che gli attacchi simulati vengano eseguiti regolarmente e integrati con una formazione adeguata, in modo che gli utenti sviluppino una forte capacità di vigilanza che consenta loro di evitare di cadere in attacchi mirati o nel cosiddetto spear phishing”, ha dichiarato Elena Molchanova, Head of Security Awareness Business Development di Kaspersky.

Estate, voglia di leggerezza e di vacanza per 12 milioni di italiani

Passare del tempo con gli amici, in leggerezza, meglio ancora se in vacanza e davanti a una birra: ecco, in estrema sintesi, come i nostri connazionali interpretano l’antidoto allo stress. Lo rivela uno studio realizzato da AstraRicerche per Birra Moretti, che ha esplorato il rapporto degli italiani con la leggerezza, scoprendo che per la metà dei nostri connazionali questa attitudine significa condividere il tempo con le persone che ci fanno stare bene.

L’identikit della spensieratezza

Se la buona compagnia delle persone che ci fanno stare bene è la situazione che più di tutte ci alleggerisce la vita e ci rende spensierati (43%), subito dopo gli italiani indicano di sentirsi più leggeri e felici quando sono in vacanza (33%): evadere dalla routine durante l’estate è la situazione che fa più felici ben 12 milioni di italiani. Che si sentono a loro agio soprattutto quando sono a contatto con la natura (29%), una situazione radicata nello stile di vita sempre più “outdoor” dei nostri connazionali. Un concetto, quello del viaggio e della vacanza, che è strettamente legato alla condivisione del buon mangiare e buon bere, all’aria aperta, che rappresenta per 2 italiani su 10, il momento di leggerezza per eccellenza. Per molti, con una buona birra, che per 4 italiani su 10 (43%) è la bevanda della spensieratezza, capace di accompagnare i momenti conviviali più piacevoli e spensierati, più di vino e spumante.

Il ruolo del cibo e delle bevande

Dallo studio emerge come le occasioni di convivialità, legate al buon mangiare e bere, possono contribuire a rendere la vita più leggera: la pensano così oltre 6 milioni di nostri connazionali. Tra queste al primo posto 4 italiani su 10 (40%) indicano i momenti con gli amici all’aria aperta mangiando street food, seguito dall’apericena informale con gli amici accompagnato da una buona birra (35%) o la cena nel locale preferito (33%). Tra le bevande che incarnano i valori di spensieratezza e leggerezza tanto ricercati in questo momento dagli italiani in testa c’è la birra chiara (43%), seguita dal vino rosso (24%) e dal vino bianco (21%). Subito dopo troviamo cocktail e superalcolici (19%), birra scura (14%) e spumante (13%). Più indietro bevande gasate (11%), succhi di frutta (9%), the e tisane (9%). Insomma, la convivialità attorno a un tavolo rappresenta l’immagine della leggerezza e del buonumore.

L’Italia è meno attrattiva per gli investimenti in rinnovabili

L’Italia passa dal 13° al 15° posto nell’indice che classifica 40 Paesi in base all’attrattività di investimenti e opportunità di sviluppo nel settore delle energie rinnovabili, la classifica mondiale EY. Questa parziale contrazione è confermata in parte anche dalla partecipazione alle aste: la settima asta per le energie rinnovabili dell’Agenzia statale per l’energia (Gse) è stata sottoscritta con un totale di 975 MW di capacità, assegnata tra 59 progetti solari fotovoltaici e 18 progetti eolici onshore di 3400 MW disponibili. Questi valori indicano una partecipazione ridotta a tutte le sette aste svolte, e nell’ottava asta il Gse metterà a disposizione 3300 MW di capacità non aggiudicata nei round precedenti. È quanto emerge dalla 59° edizione del report EY Renewable Energy Country Attractiveness Index (Recai).

Serve una semplificazione burocratica

Per accelerarne lo sviluppo, sono necessarie misure di semplificazione dell’iter approvativo dei progetti rinnovabili. Un fattore che ostacola gli investimenti nel settore delle rinnovabili in Italia, e che viene sollevato come priorità di intervento da tanti operatori, è il processo approvativo di nuovi investimenti e repowering. Questo processo richiede il consenso delle autorità locali da cui dipendono in larga parte le tempistiche talvolta molto lunghe di approvazione, e quindi, di realizzazione dei progetti.
Proprio per questo motivo, attualmente si sta valutando un’eventuale proposta di semplificazione burocratica che contribuirebbe a migliorare il posizionamento dell’Italia nei confronti di altri Paesi.

I fattori che favoriscono l’interesse nell’investire

Nonostante il ranking italiano in ribasso, lo stato dell’arte delle rinnovabili nel Paese sta attraversando una fase di significativa trasformazione, in quanto il mercato sta evolvendo grazie a una serie di fattori che favoriscono un forte interesse nell’investire.
Tra i fattori principali, i livelli bassi il costo di produzione (LCOE sotto ai 50 €/MWh) e in costante riduzione grazie all’evoluzione tecnologica e alla buona disponibilità di risorse naturali. A favorire gli investimenti in questo ambito è anche lo sviluppo di contratti di PPA (Power Purchase Agreement) che permettono a stakeholder privati di siglare accordi bilaterali per sostituire parte del proprio approvvigionamento energetico con energia prodotta da impianti rinnovabili.

Più opportunità per l’energia green

Inoltre, i prezzi all’ingrosso dell’energia elettrica oggi sono incredibilmente alti, comportando un maggiore interesse per l’energia green, meno competitiva sul mercato, perché ha un prezzo inferiore, stabile e non oggetto alle fluttuazioni delle altre commodity. 
Il differenziale elevato tra valore della commodity (ovvero il prezzo all’ingrosso dell’energia) e il costo di produzione, riporta Adnkronos, apre un’opportunità per i fornitori di energia elettrica, ovvero quella di vendere l’energia non a un prezzo pari o simile ai costi di produzione, ma a un valore intermedio rispetto al più elevato PUN (Prezzo Unico Nazionale). Questa opportunità è ancora più attrattiva dal momento che in Italia il mercato presenta un numero finito di nuovi progetti e una crescente domanda. Con l’aumentare dell’offerta e un’auspicabile riduzione del PUN, tale deviazione dovrebbe sgonfiarsi e riportare i valori degli scambi in linea con le previsioni passate.