Allarme prezzo caffè, quanto costa la tazzina da Nord a Sud

Il Italia è emergenza ‘caro caffè’. L’immancabile tazzina, sinonimo di buongiorno per moltissimi italiani, negli ultimi tempi ha registrato una vera e propria escalation nei prezzi. A lanciare l’allarme è Assoutenti, che ha monitorato l’andamento dei listini dell’espresso al bancone. “Nei mesi scorsi avevamo denunciato i primi ritocchi dei listini del caffè nei bar italiani: i numeri ufficiali confermano oggi il nostro allarme, e il trend al rialzo, che oggi sfiora una media annua del +6%, è destinato a proseguire nei prossimi mesi – afferma il presidente di Assoutenti Furio Truzzi – A generare i rincari da un lato il caro-bollette, che impone maggiori costi energetici agli esercenti poi scaricati sui consumatori finali attraverso i prezzi al dettaglio, dall’altro le tensioni nelle quotazioni delle materie prime, che hanno portato a rincari per beni come caffè e zucchero. A fare le spese di tale situazione sono i consumatori, considerato che in Italia si consumano ogni giorno 9,3 milioni di tazzine di espresso al bar”.

Le differenze di prezzo possono arrivare al 40%

Il prezzo medio nazionale del caffè è oggi di circa 1,10 euro contro 1,038 euro del 2021,  afferma Assoutenti. Che però ha calcolato che che la tazzina al bar raggiunge 1,25 euro, con prezzi in aumento fino al +16% rispetto al 2021. Ma le variazioni di prezzo di un espresso al bar, tra il Nord e il Sud dello Stivale, possono arrivare anche al 40%. Ma cosa cambia da città a città? Il top del costo si raggiunge in Trentino Alto Adige, con i bar di Trento che vendono l’espresso consumato al banco in media a 1,25 euro, 1,24 euro a Bolzano. Anche a Cuneo il caffè costa 1,24 euro. In ben 3 province dell’Emilia Romagna (Ferrara, Ravenna e Reggio Emilia) l’espresso abbatte la soglia psicologica di 1,20 euro, così come in Veneto (Rovigo e Venezia), mentre a Padova e Vicenza il prezzo medio è di 1,19 euro. Il caffè più economico d’Italia – avverte Assoutenti – è quello servito dai bar di Messina (0,89 euro), seguita da Napoli, città dove l’espresso è una tradizione storica (0,90 euro) e da due province calabresi (Reggio Calabria e Catanzaro, 0,92 euro).

I rincari in percentuale sull’anno scorso

L’associazione dei consumatori ha poi messo a confronto i listini attuali con quelli in vigore lo scorso anno: si scopre che per il caffè al bar i rincari dei prezzi sono generalizzati e raggiungono quota +16% a Pescara, +15% a Catanzaro, +13,6% a Cosenza, +13,5% ad Alessandria, +12,8% a Bari, +12,7% a Cuneo. Solo 5 province, Napoli, Biella, Lucca, Novara e Macerata, hanno mantenuto stabile il prezzo medio del caffè, mentre in tutte le altre città italiane si registrano aumenti anche pesanti.

Quando premere il tasto Invio non basta a difendere i nostri dati

Un grandissimo numero di siti web raccoglie di nascosto tutto ciò che viene digitato all’interno di un modulo online, anche se l’utente cambia idea e lascia il sito senza premere il tasto Invio.  Insomma, la convinzione che non sia successo nulla finché non si preme il pulsante Invia e che i dati inseriti non andranno da nessuna parte, è errata. I nostri dati sono già andati da qualche parte. Lo ha scoperto un gruppo di ricercatori della KU Leuven, della Radboud University e dell’Università di Losanna dopo aver analizzato più di 100 mila siti web.

Servizi di marketing e analisi dei dati

Di fatto, molti siti incorporano servizi di marketing e analisi di terze parti, che raccolgono i dati dei moduli indipendentemente dall’invio. I ricercatori hanno scoperto che Meta e TikTok stavano utilizzando i propri tracker di marketing invisibili per raccogliere dati anche da altre pagine web. I siti che avevano utilizzato Meta Pixel o TikTok Pixel, frammenti di codice che consentono ai domini dei siti di tracciare l’attività dei visitatori, avevano una funzione di ‘corrispondenza avanzata automatica’.
In pratica, quando si inseriva un indirizzo e-mail nella pagina in cui era presente Meta Pixel facendo clic sulla maggior parte dei pulsanti, o link che portavano gli utenti lontano da quella pagina, i dati personali venivano presi da Meta o TikTok.

Una pratica simile a quella dei key logger

Secondo le stime dello studio, negli Stati Uniti 8.438 siti potrebbero aver fatto arrivare dati a Meta tramite il suo Pixel.
In sostanza, la pratica è simile a quella dei cosiddetti key logger, programmi dannosi che registrano tutto quello che digita un determinato soggetto. I ricercatori hanno notato alcune diversità in questa pratica: alcuni siti hanno registrato i dati battuta per battuta, mentre molti hanno acquisito gli invii completi quando gli utenti hanno fatto clic su quello successivo. 
Secondo i ricercatori le differenze potrebbero essere legate al fatto che le aziende sono più caute riguardo al tracciamento degli utenti e integrano con un minor numero di terze parti. Questo a causa del regolamento generale sulla protezione dei dati UE.

Al centro di questa trama ci sono gli indirizzi e-mail

“I marketer si affidano sempre più a identificatori statici come numeri di telefono e indirizzi e-mail perché le aziende tecnologiche stanno gradualmente abbandonando il monitoraggio degli utenti basato sui cookie per motivi di privacy”, ha sottolineato Güneş Acar, professore e ricercatore della Radboud University, come riporta Agi. La ricerca ha utilizzato un software che simulava un utente reale, che visitava pagine web compilando pagine di accesso o registrazione senza inviare, e ha rilevato che 1.844 siti nell’Ue avevano raccolto gli indirizzi e-mail senza il consenso dell’utente. Negli Stati Uniti è stato anche peggio, con 2.950 siti che hanno fatto lo stesso.

Italia al secondo posto tra i paesi più colpiti in Europa da stalkerware 

Con 611 casi registrati nel 2021 l’Italia si aggiudica il secondo posto a livello europeo, e l’undicesimo posto a livello mondiale, nella classifica dei paesi più colpiti dal fenomeno degli stalkerware. Nel 2020 erano stati registrati 1.144 casi, e l’Italia si posizionava ottava a livello mondiale, mentre nel 2019 i casi registrati ammontavano a 1.829, con l’Italia al sesto posto della classifica mondiale. Insieme ad altre tecnologie, gli stalkerware sono spesso utilizzati nelle relazioni abusive. Nel 2021, questi software che consentono di spiare la vita privata di una persona attraverso un dispositivo smart, hanno colpito più di 32.000 utenti mobile di Kaspersky in tutto il mondo.

È solo la punta dell’iceberg

Secondo la ricerca condotta da Kaspersky, The State of Stalkerware in 2021, se da un lato si è assistito a un calo significativo del numero di utenti colpiti rispetto al 2018, e a una diminuzione del 39% rispetto ai dati del 2020, è importante sottolineare che si tratta solo della punta dell’iceberg. Secondo una stima approssimativa della Coalition Against Stalkerware, ogni anno i casi di abusi attraverso l’uso di stalkerware a livello mondiale potrebbero essere infatti circa un milione. Confrontando i risultati con i dati raccolti dall’indagine di Kaspersky sul Digital Stalking condotta a fine 2021, emerge inoltre un collegamento tra violenza online e offline.

L’11% degli italiani è vittima di stalking digitale

L’11% degli italiani (24% a livello globale) ha confermato di essere stato vittima di stalking digitale, e il 13% (25% a livello globale) ha dichiarato di aver subito violenza o abusi da parte del proprio partner. Si è inoltre rilevata la medesima correlazione nella maggior parte dei paesi in cui è stata condotta l’indagine. Kaspersky ha identificato utenti colpiti in più di 185 paesi e territori: Russia, Brasile, Stati Uniti e India si confermano i primi quattro paesi con il maggior numero di vittime. La Germania è l’unico paese europeo presente nella top 10 dei paesi più colpiti.

In crescita gli abusi perpetrati utilizzando la tecnologia

Questa edizione del report fornisce anche una panoramica dei paesi più bersagliati a livello regionale, includendo anche le statistiche di Kaspersky relative a Nord America, America Latina, Europa, Medio Oriente, Africa, Europa dell’est, Russia, Asia Centrale e la regione dell’Asia Pacifica. Che gli abusi perpetrati utilizzando la tecnologia siano una problematica in crescita lo confermano anche due organizzazioni non-profit, la statunitense NNEDV (National Network to End Domestic Violence) e WWP EN (European Network for the Work with Perpetrators of Domestic Violence), che hanno preso parte al report, condividendo la loro esperienza a contatto con le vittime.

Auto, sempre meno per famiglia

Il mercato automobilistico italiano ha messo il freno. Almeno nei primi due mesi di quest’anno, che hanno visto una contrazione importante nel numero di immatricolazioni, per automobili e altri veicoli, pari al -21,22%.. Analizzando meglio, si scopre che solo il segmento delle Passengers Car, nel nostro paese, hanno segnato un decremento pari al -22,46% rispetto al 2021. Più contenuto, invece, invece, il decremento concernente i Light commercial vehicles che, registra un 6,72% in meno sulle vendite totali, con 14.120 veicoli immatricolati per febbraio 2022. Sono solo alcuni dei dati contenuti nella ricerca di Scenari. 

Pandemia e guerra influiscono sul mercato dell’auto

Gli avvenimenti che hanno portato alla situazione attuale il mercato automobilistico italiano sono strettamente legati alla pandemia e all’attuale conflitto sul territorio ucraino. Il ruolo di maggior peso per l’attuale condizione lo giocano: residui degli effetti della pandemia da SARS-CoV-2 e le limitazioni, sul trasporto del carburante, causate dall’attuale conflitto russo-ucraino. Allo stato d’incertezza, generato dall’imponente flessione economica e occupazionale, si aggiunge la cosiddetta crisi dei microchip. Tra tutti i settori colpiti da questa crisi, quello dell’industria automobilistica è in primissima linea. Sembra, inoltre, che la carenza di semiconduttori si protrarrà ancora per un po’, generando, in questo modo, una spietata corsa all’approvvigionamento di chip e delle materie prima che occorrono per fabbricarli.

Gli effetti a catena

L’incremento del 40%, su tutti i tipi di carburante, sta generando un ovvio effetto domino sui costi di produzione. Dai vertici del settore, le persone sono esortate ad attendere pazientemente il ritorno degli incentivi per il mercato automobilistico. Presentano, infatti, gli unici valori positivi, i modelli ibridi. Le bifuel Gpl hanno registrato un incremento pari al +23,2% a discapito dei prodotti a metano che, vedono la propria fetta decrescere del -59%. Ciò ha portato ad un calo nelle omissioni di CO2, che in analisi hanno presentato il 5,3% in meno rispetto al 2021.
Se siamo, dunque, sull’onda di una riforma del mercato automobilistico e di quello energetico, non possiamo ancora definirlo, ma di certo possiamo affermare di trovarci in un periodo di cambiamenti ingenti e necessari.

Gli italiani e la macchina

Ecco qualche dato riferito al campione rispondente, comunque specchio della società italiana. Il 98,7% del campione scelto, possiede almeno la patente di tipo A1. La maggior parte dei rispondenti ha dichiarato di possedere una sola autovettura (46,1%). L’altra significativa maggioranza è costituita da coloro che ne posseggono, invece, due (42%). Mediamente, quindi, in un micronucleo sociale italiano, possiede un numero di automobili compreso tra 1 e 2.

Integratori, la pandemia fa crescere il mercato

Negli ultimi 5 anni il mercato degli integratori alimentari è cresciuto più del 40%, e negli ultimi due anni, quelli a cavallo della pandemia, più del 10%. Se infatti la pandemia ha avuto un impatto rilevante su tanti comparti merceologici, i dati Sinottica mostrano che nel corso del 2021 il consumo di integratori alimentari riguarda circa un italiano su 2.
“In questo scenario il ruolo di questi prodotti è diventato sempre più protagonista – spiega Giampaolo Falconio, Sales Lead di GfK Italia -: oggi 3 consumatori su 4 dichiarano che l’assunzione di integratori alimentari avviene in logica preventiva, come sostegno e supporto al proprio benessere psicofisico e un consumatore su 4 li reputa alternativi ai farmaci veri e propri”.

Rafforzare le difese immunitarie 

Di fatto, rafforzare le difese immunitarie è stata una delle strategie per evitare il contagio da Covid-19, e la difficile condizione a livello sanitario, sociale ed economico, ha fatto emergere la necessità di tenere sotto controllo il livello di tensione, preoccupazione, e ansia. La crescita di questi prodotti conferma inoltre come target di primario interesse persone ben distribuite in termini di età, con una lieve preponderanza nel genere femminile, presenti su tutto il territorio nazionale, ma in misura più contenuta al Sud. Le loro condizioni socio economiche sono elevate così come elevato è l’investimento in termini di salute, dove si mostrano informate e competenti, interessate alle novità, spesso rappresentando un punto di riferimento per familiari e amici.

I più utilizzati: sali minerali, multivitaminici e per la flora intestinale 

Tra le categorie di integratori più utilizzati, sali minerali, multivitaminici e per il riequilibrio della flora intestinale. Ma negli ultimi due anni è aumentato l’utilizzo di due segmenti specifici, quello delle difese immunitarie (+20% circa) e quello per favorire sonno e relax (+15% circa). 
Gli integratori vengono per la maggior parte assunti in specifici periodi dell’anno, attraverso cicli periodici di trattamento (78%). La farmacia si conferma il punto vendita preferito in assoluto per l’acquisto (più del 60% li acquista attraverso questo canale), ma colpisce l’aumento sensibile del canale digitale. Oggi un consumatore su 4 utilizza Internet anche per l’acquisto di questi prodotti, dato che vede un incremento del 15% rispetto a 5 anni fa.

Naturalità degli ingredienti principale driver di acquisto

La naturalità degli ingredienti rappresenta il principale driver di acquisto in assoluto. Per 8 consumatori su 10 un integratore deve essere il più naturale possibile. Altri importanti fattori di scelta sono il prezzo o la presenza di promozioni, l’efficacia, la facilità di assunzione. Quando si tratta di scegliere la tipologia di integratore da utilizzare si conferma poi la fiducia alle principali fonti del settore, come medico di famiglia e farmacista. Oltre a questi, un consumatore su quattro sceglie comunque gli integratori in autonomia, ricercando attivamente informazioni. La comunicazione, in tutte le sue forme, riveste quindi un ruolo centrale e risulta importante comprendere quali linguaggi utilizzare e quali mezzi di comunicazione attivare per raggiungere meglio il target.

I contratti di rete in Lombardia crescono del +12,5%. Il totale sale a 4.410 

Unioncamere Lombardia ha pubblicato il rapporto 2021 sui contratti di rete nella regione. Durante lo scorso anno in Lombardia i contatti di rete hanno registrato un’accelerazione: sono oltre 700 le imprese lombarde che li hanno sottoscritti, per una crescita netta sia rispetto agli ultimi anni, e un incremento del +12,5% rispetto al 2020. Lo stock di imprese coinvolte in Lombardia, comprese le reti cessate, sale così a 4.410. In pratica, per ogni mille imprese registrate in Camera di Commercio sono 4,6 quelle che partecipano ai contratti di rete. Inoltre, con 1.513 reti, la Lombardia è la regione coinvolta nel maggior numero di contratti, il 20,4% del totale nazionale. Nonostante questi dati, però, la quota di imprese lombarde partecipanti è inferiore alla media italiana.

“Un modello virtuoso di collaborazione”

“Le imprese che partecipano ai contratti di rete sono ancora una minoranza, ma rappresentano un modello virtuoso di collaborazione per favorire la trasformazione tecnologica, l’innovazione e raggiungere nuovi mercati”, ha dichiarato il presidente di Unioncamere Lombardia, Gian Domenico Auricchio. Il 44% dei contratti che comprendono imprese lombarde vede la partecipazione di un massimo di tre imprese, e le reti con almeno 10 soggetti rappresentano il 14,9%. Considerando l’ambito territoriale dei contratti lombardi, il 24,2% risulta formato da imprese della stessa provincia, mentre il 17,6% vede la partecipazione di imprese con sede in diverse province della regione.

Il 58,2% delle reti ha un raggio di azione esteso oltre i confini regionali

La maggior parte delle reti, il 58,2%, ha però un raggio di azione che si estende oltre i confini lombardi. In particolare, le collaborazioni sono particolarmente strette con il Lazio (247 contratti, di cui ben 224 con Roma), e con le grandi regioni industriali (Emilia Romagna 242, Veneto 238, Piemonte 202). Nel 2021 si sono intensificati poi i legami con il Meridione, in particolare con le regioni Campania, Puglia e Abruzzo.

Tutti i settori dell’economia lombarda sono coinvolti

Nel complesso, dopo un avvio concentrato soprattutto nell’industria, i contratti di rete si stanno diffondendo in tutti i settori dell’economia regionale. L’industria rimane il comparto con la maggior propensione all’aggregazione (8,8%), ma la crescita nel 2021 (+2,7%) conferma i ritmi bassi degli ultimi anni. Per quanto riguarda gli altri settori di attività, quasi metà delle imprese è attiva nei servizi (46,6%), con un incremento significativo nel 2021, pari al +16,4%. In crescita anche il settore dell’agricoltura (+10%), dove il contratto di rete si è progressivamente diffuso raggiungendo una quota non trascurabile sul totale delle imprese del settore (8,0%), e le costruzioni (+19,8%).

Agricoltura 4.0: in Italia vale 1,6 miliardi, +23% 

Dai 540 milioni di euro di fatturato del primo semestre del 2020 il mercato italiano dell’agricoltura 4.0 è passato a 1,3 miliardi a fine anno, per arrivare a 1,6 miliardi nel 2021, per una crescita del +23%.
In Italia negli ultimi due anni il mercato dell’agricoltura 4.0 è esploso. E in parallelo è cresciuta anche la superficie coltivata con strumenti di agricoltura 4.0 da parte delle aziende agricole, che nel 2021 ha toccato il 6% del totale, il doppio dell’anno precedente. È quanto emerge dalla ricerca dell’Osservatorio Smart Agrifood della School of Management del Politecnico di Milano e del Laboratorio Rise (Research & Innovation for Smart Enterprises) dell’Università degli Studi di Brescia.

Il 60% degli agricoltori utilizza almeno una soluzione digitale

Nell’ultimo anno il 60% degli agricoltori italiani utilizza almeno una soluzione di agricoltura 4.0, il +4% rispetto al 2020, e oltre quattro su dieci agricoltori ne utilizzano almeno due, in particolare, software gestionali e sistemi di monitoraggio e controllo delle macchine.  A spingere la crescita del mercato sono gli incentivi statali, in particolare le agevolazioni dei programmi di sviluppo rurale e il piano transizione 4.0. Infatti, tre quarti delle aziende agricole italiane hanno impiegato almeno un incentivo di agricoltura 4.0, e l’84% sostiene che abbiano avuto un impatto determinante sulle scelte di investimento, riporta Ansa.

La crescita è guidata dalla spesa per i macchinari connessi

La crescita del mercato è guidata principalmente dalla spesa per i macchinari connessi, pari al 47% del mercato, e per i sistemi di monitoraggio e controllo di mezzi e attrezzature, che corrispondono al 35% dell’intero mercato, e a distanza dai software gestionali (6%). Al 5% i sistemi di monitoraggio da remoto delle coltivazioni, e poi i Dss, la mappatura di terreni e altro ancora. Dati che confermano come l’innovazione, per ora, passi soprattutto dall’hardware, ovvero trattori e attrezzature smart.
Se si guarda invece alle tecnologie abilitanti i dati e l’analisi degli stessi è al primo posto (71%), seguiti dalle piattaforme software (59%), l’Iot (58%), i device di ultima generazione (46%), mobility e geolocalizzazione (36%), veicoli e attrezzature connessi (25%), sistemi Ict in cloud (20%) e l’Iintelligenza artificiale (10%), riporta AgroNotizie.

Blockchain & Distributed Ledger per la tracciabilità

Dal lato consumatori, secondo l’Osservatorio, metà degli italiani cerca informazioni sulla tracciabilità degli alimenti, utilizzando soprattutto il sito internet del produttore, i social network e i Qr Code.
Ed è proprio la tracciabilità, riferisce Ansa, uno degli ambiti in cui le aziende stanno maggiormente utilizzando il digitale. Il settore continua infatti a guardare con forte interesse alle tecnologie Blockchain & Distributed Ledger, anche se solo il 6% dei consumatori italiani ha già sentito parlare di Blockchain nell’agrifood.

Italia e accise benzina: siamo i secondi in Europa

Quanto incidono effettivamente in Italia le accise sul costo del carburante? E negli altri Paesi europei?
Tra l’impennata dei prezzi delle materie prime come conseguenza indiretta della pandemia da Covid-19 e le recenti tensioni in Ucraina i costi per l’energia e quelli del carburante stanno lievitando. Di fatto, in Italia la benzina ha superato i 2 euro al litro, e secondo i calcoli di Facile.it sui dati dell’European Environment Energy, nel corso del 2022 arriveremo a spendere oltre 1.750 euro all’anno per fare il pieno a un’auto alimentata a benzina. Per scongiurare questa onerosa eventualità, fra le ipotesi di intervento proposte da vari Governi nel corso degli anni, e caldeggiate da molti consumatori, c’è il taglio delle accise.

Oltre la metà del costo riportato alle pompe è dovuto alle tasse

Secondo i calcoli di Facile.it, si escludono i Paesi Bassi, dove le accise sono pari a 0,79 euro al litro, è il nostro Paese a vantare le accise sulla benzina più alte d’Europa: si tratta infatti di 0,73 euro per ogni litro di benzina erogato. In pratica in Italia le accise contribuiscono a poco meno della metà del prezzo finale della benzina, e se a queste si aggiunge l’Iva, si arriva a oltre la metà del costo riportato alle pompe dai benzinai. Dopo l’Italia, la classifica dei Paesi europei con le accise sulla benzina più alte d’Europa prosegue con la Finlandia e la Grecia a parimerito, dove pesano per 0,70 euro ogni litro, mentre appena fuori dalla top five si piazzano la Francia, con 0,68 euro al litro, e la Germania, con 0,65 euro al litro.

Per il Diesel l’Italia è al primo posto: 0,62 euro per ogni litro versato

Per quanto riguarda il diesel invece, riferisce Adnkronos, il nostro Paese è quello con le accise più alte. Si tratta infatti di 0,62 euro per ogni litro di carburante. Sul secondo e sul terzo gradino del podio si trovano rispettivamente il Belgio, con 0,60 euro di accise al litro, e la Francia, con 0,59 euro.

In Bulgaria si spende quasi la metà

Al contrario, sia per quanto riguarda i costi della benzina sia quelli del diesel, è la Bulgaria il paese che detiene il primato dello Stato con le accise più basse di tutta Europa. In Bulgaria infatti si spendono rispettivamente 0,36 euro e 0,33 per ogni litro, circa la metà di quanto rilevato in Italia da Facile.it.

Quali sono i benefit più richiesti dai dipendenti?

Non solo stipendio. O meglio, lo stipendio non è l’unico valore per i lavoratori. I soldi a fine mese, infatti, nel corso degli ultimi anni hanno perso la loro centralità nella mente di tantissimi lavoratori, a favore invece di altri fattori, come la possibilità di formazione, la possibilità di carriera interna nonché la presenza di concreti benefit. E proprio i benefit, sono sempre più importanti per chi è alla ricerca un nuovo datore di lavoro.

Cresce l’attenzione per “l’altro”

“Noi head hunter abbiamo notato un progressivo aumentare dell’attenzione nei confronti dei benefit, la cui presenza rende molto più appetibile un posto di lavoro agli occhi dei candidati. E non stupisce quindi che sempre più aziende stiano raddoppiando l’impegno verso iol welfare, per migliorare l’employer branding come peraltro la talent retention”, spiega Carola Adami, fondatrice di Adami & Associati, società internazionale di head hunting specializzata nella selezione di personale qualificato e nello sviluppo di carriera,.
Ma quali sono i benefit maggiormente richiesti nel 2022? Non proprio di benefit si tratta, ma attualmente molto presente la richiesta da parte dei lavoratori di poter continuare a lavorare in regime di smart working, alternando lavoro in presenza e lavoro da remoto.
“Durante la pandemia abbiamo conosciuto i vantaggi del lavoro agile, e sono molti i professionisti che compiono la scelta della migliore azienda i cui lavorare anche in base a questo fattore”, racconta ancora Carola Adami.

Più benefit in azienda

Quel che è certo è che, visto il trend, la maggior parte dei lavoratori attende un prossimo ampliamento del programma di benefit in azienda, secondo alla società di consulenza americana Forrester, per cui la pensa così il 79% dei dipendenti. Guardando ai dati di un ricerca condotta da Harris Interactive per Sodexo Benefits & Rewards Services Italia, sul podio dei benefit si trovano i premi immediati, indicati dal 36% degli intervistati, seguiti dai buoni pasto per il 30%, e dai bonus a lungo termine per il 24%, che superano di poco l’assicurazione medica (23%) e la mensa aziendale (23%).
“Offrire una nutrita gamma di benefit ai propri dipendenti è una scelta vantaggiosa per qualsiasi tipo di azienda. Così si rende  più facile sia l’attrazione di nuovi talenti da assumere, sia la riduzione del tasso di turn over, per mantenere in azienda conoscenze e competenze”, conclude la Adami.
Difatti come ha svelato un’indagine Censis ben l’82,3%, dei lavoratori italiani è convinto di “meritare di più” a livello lavorativo. E i benefit aziendali sono certamente il modo più efficace per soddisfare questo condiviso bisogno.

Lombardia, nuove e iniziative a sostegno delle imprese agricole

Sono davvero tante le iniziative messe in campo da Ismea per promuove l’agricoltura in Lombardia. Opportunità che vanno dai contributi a fondo perduto ai mutui a tasso agevolato per i giovani e le donne sino agli interventi di finanza strutturata per le società di capitali. Di questo si è parlato durante il recente incontro promosso da Ismea per presentare le opportunità offerte dall’Istituto alle imprese agricole e agroalimentari italiane.  

Le problematiche delle imprese della Regione

“Sono molte le problematiche che le aziende agricole stanno affrontando in questo periodo: rincari energetici, costi delle materie prime, crisi internazionali. È fondamentale per le nostre imprese avere massima chiarezza sulle misure messe in campo per aiutare il comparto, sia in ambito creditizio che di sviluppo rurale. Ringrazio Ismea per aver scelto la Lombardia come prima tappa del tour sul territorio nazionale. I dati confermano ancora come la nostra sia la prima regione agricola d’Italia e a livello istituzionale abbiamo il dovere di accompagnare le aziende nella fase di transizione che è in atto” ha dichiarato Fabio Rolfi, assessore all’Agricoltura, Alimentazione e Sistemi verdi della Regione Lombardia.
Nel corso dell’appuntamento, il Direttore Generale di Ismea ha presentato il sistema integrato di misure e di strumenti che l’Istituto mette a disposizione per sostenere lo sviluppo del settore agricolo e agroalimentare italiano, accompagnando le imprese nelle diverse fasi della loro vita: dall’acquisizione del capitale fondiario allo sviluppo del business, dall’accesso al credito e al mercato dei capitali sino alla gestione del rischio.

Le opportunità per chi fa agricoltura

Con l’ultima legge di Bilancio Ismea ha ottenuto ulteriori 80 milioni di euro destinati a sostenere la competitività del settore in un momento di grande trasformazione verso le sfide della transizione ecologica e digitale previste dalla PAC e dal PNRR. Nel dettaglio, attraverso la Banca nazionale delle Terre Agricole (BTA), che quest’anno aprirà, il prossimo 7 marzo, la fase delle manifestazioni di interesse del quinto lotto, Ismea rimette in circolo i terreni attraverso una procedura di vendita trasparente e aperta a tutti, offrendo opportunità di investimento e ricomposizione fondiaria. Con “Più Impresa”, l’Istituto sostiene gli investimenti dei giovani e delle donne in agricoltura, grazie all’erogazione di contributi a fondo perduto e mutui a tasso zero. Ismea gestisce inoltre il primo Fondo di Garanzia pubblico con garanzia diretta e a prima richiesta per l’agricoltura, a copertura di oltre due miliardi di euro di finanziamenti destinati al settore. Con i suoi strumenti di garanzia, Ismea facilita l’accesso al credito delle imprese agricole e della pesca, riducendo il costo dei finanziamenti. Con “Ismea Investe” le società di capitali attive nel settore agroalimentare possono beneficiare di finanziamenti agevolati e interventi nel capitale di rischio (operazioni di equity e quasi equity, prestiti obbligazionari e strumenti finanziari partecipativi).